domenica 23 novembre 2014

Acqua e agricoltura: come usare razionalmente la risorsa



di Tommaso Maggiore e Luigi Mariani



Keita, Niger, F. Paladini. Photolibrary Fao, per gent.concessione

L’agricoltura è il settore primario poiché produce cibo e beni di consumo (la lana ed il cotone per gli abiti, la pelle per le calzature, il legno per la carta ed i mobili, ecc.) per un’umanità di oltre 7 miliardi di persone e che nel 2050 raggiungerà i 9.5 miliardi (U.S. census Bureau, 2014).

Fra i più importanti successi di questa tecnologia si deve annoverare il fatto di aver portato la percentuale della popolazione mondiale che soffre di problemi di sottonutrizione dal 37% del 1970 all’11% del 2013 (figura 1). Un tale risultato è frutto della “rivoluzione verde” e cioè dell’innovazione tecnologica che ha interessato il settore agricolo nel 20° secolo coinvolgendo in particolare la genetica (nuove varietà vegetali e nuove razze di bestiame assai più produttive e con caratteristiche qualitative di gran lunga superiori a quelle tradizionali) e le agrotecniche (lavorazioni, concimazioni, diserbi, interventi fitosanitari, tecniche di raccolta, lavorazione e conservazione dei prodotti, tecniche di alimentazione ed allevamento del bestiame, ecc.). 




 
Figura 1 - Percentuale di sottonutriti rispetto alla popolazione mondiale (fonte: FAO).




 

Figura 2 – Produzione media globale unitaria (t/ha) delle 4 principali colture (quelle che nutrono il mondo) riferita al periodo 19621-2012. Si noti che è in corso un incremento dell’1-2% l’anno (fonte: Faostat - (qui)).


E’ grazie alla rivoluzione verde che non si sono avverati i foschi scenari malthusiani: dal 1901 al 2000 la popolazione mondiale è quadruplicata e la produzione delle grandi colture è aumentata di 5÷6 volte, per cui ad esempio la produzione media di frumento tenero in Italia è passata dalle 1,1 tonnellate per ettaro del 1910 alle 6 tonnellate odierne. Si tratta di trend tuttora in atto (figura 2) e che debbono essere mantenuti anche in futuro grazie ad opportuni investimenti in nuove tecnologie.
L’agricoltura consuma oggi circa il 70% delle risorse idriche a livello mondiale, il 30% a livello europeo ed il 64% a livello italiano (qui)
Tali cifre possono apparire inaccettabili per chi è abituato a ragionare in termini di PLV, per cui se il peso del settore agricolo italiano sul totale dell’economia è oggi l’1.8% (valore che sale al 16% se si considera il settore agroalimentare nel suo complesso) il consumo di acqua dovrebbe andare di conseguenza. Si tratta di un ragionamento che non farà una grinza sul piano economico, ma che “fa acqua da tutte le parti” su quello agronomico, il che può essere compreso se si considera che le piante coltivate necessitano di acqua per i seguenti motivi fondamentali:

1. assorbire gli elementi nutritivi dal terreno (elementi chiave come l’azoto, il fosforo ed il potassio entrano      nella pianta con l’acqua che le radici assorbono dal terreno)

2. garantire un’efficace termoregolazione (noi umani traspiriamo per regolare la nostra temperatura e le piante fanno lo stesso, solo che al posto dei pori hanno gli stomi)

3. mantenere nei tessuti un contenuto idrico compatibile con la vita (senz’acqua sufficiente nei tessuti le piante muoiono)

4. attingere dall’atmosfera quel cibo fondamentale che è l’anidride carbonica (se manca l’acqua le piante debbono chiudere gli stomi per cui addio CO2 e dunque addio produzione).


Oggi l’agricoltura interessa 1,4 miliardi di ettari di arativi di cui 270 milioni di ettari (il 20% circa) sono irrigui. A livello agricolo l’irrigazione ha l’enorme merito di stabilizzare le produzioni, evitando che le annate di siccità si traducano in annate di carestia. Ciò si  spiega meglio con i dati riportati nel grafico in figura 3 (Mariani, 2013) da cui si evince che l’adozione dell’irrigazione consente rese non solo più elevate (per il campo in esame 11,7 tonnellate di produzione media annua per la coltura irrigua contro le 8 di quella “asciutta”), ma anche assai meno variabili da un anno all’altro.
Figura 3 – produzione di mais senza irrigazione (linea rossa) e con irrigazione (linea blu) stimata dal 1995 al 2010 per una località della provincia di Como. Si noti che il mais non irriguo registra produzioni analoghe a quelle ottenute con mais irriguo in due sole annate (1997 e 2002) mentre nel 2003 la coltura non irrigua registra un completo fallimento.


Per questo in agricoltura l’abbandono dell’irrigazione significherebbe non solo mettere a repentaglio i redditi dei produttori, ma anche esporre larghe fasce della popolazione mondiale al rischio di carestia.
Circa i consumi idrici occorre considerare che - come si è dianzi accennato - la produzione mondiale ettariale delle principali colture per ettaro è aumentata di 4-6 volte  in 100 anni. Ciò ha comportato un aumento di 4-6 volte dei consumi idrici in quanto occorrono ad esempio 500 litri d’acqua per produrre  1 kg di granella di mais e 2000 litri d’acqua per 1 kg di granella di riso. Tali accresciuti consumi si traducono oggi in un consumo idrico complessivo mondiale per la produzione di cibo stimato in 5700 chilometri cubi d’acqua l’anno, valore questo a sua volta soggetto ad un incremento dell’1% l’anno, in accordo con l’incremento della produttività delle grandi colture.
Da segnalare inoltre che in agricoltura un rilevante consumo idrico è da attribuire alla zootecnia. In particolare, secondo la FAO, la produzione di alimenti vegetali per la zootecnia è responsabile dell’8% dei consumi idrici totali dell’agricoltura mondiale dato che consumi idrici consistenti si registrano per l’abbeverata del bestiame e per la pulizia delle stalle.
Questi dati portano alla conclusione che i consumi idrici in agricoltura non possono in alcun modo essere proporzionali alla percentuale della PLV di origine agricola, ma devono viceversa essere commisurati alle esigenze degli esseri viventi su cui si basa l’agricoltura (piante coltivate e animali d’allevamento) e dei consumatori umani. Alla luce del fatto che le risorse idriche sono un bene sempre più limitato è tuttavia necessario domandarci se non sia possibile risparmiare acqua in agricoltura. La risposta è senza dubbio positiva, in quanto negli ultimi decenni l’agronomia ha messo a punto soluzioni alquanto efficaci. Ci si riferisce qui in particolare a:

1.      metodi d’irrigazione più efficienti (ad esempio l’irrigazione a pioggia o a goccia in luogo dei tradizionali sistemi d’irrigazione per  scorrimento);

2.      individuazione del momento ottimale per l’intervento irriguo tramite tecniche adeguate (es: bilancio idrico delle colture) in modo da utilizzare l’irrigazione quando davvero occorre;

3.      ottimizzazione delle altre tecniche agronomiche (lavorazioni del terreno, concimazioni, diserbi, ecc.) al fine di contenere il consumo idrico da parte delle colture;


4.      messa a punto di nuove varietà più efficienti nell’uso dell’acqua tramite tecniche d’ingegneria genetica (oggi l’ingegneria genetica in campo biomedico fa miracoli e nessuno si sognerebbe di rifiutarla, cosa che invece accade in agricoltura ove tale tecnica è oggi bandita in nome di preconcetti oscurantisti, peraltro fatti propri da gruppi e movimenti che si ammantano di progressismo).


Circa il punto 1 si consideri anzitutto che in tutto il mezzogiorno d’Italia i metodi irrigui oggi impiegati sono nella maggior parte ad alta efficienza e ciò ha consentito di aumentare notevolmente le superfici irrigate. Inoltre vale qui la pena di fare un breve excursus su quanto accade in Lombardia, regione che fra tutte dispone della maggiore superficie irrigua e di una vasta gamma di metodi irrigui, oltre a vantare una tradizione irrigua che risale a oltre 800 anni orsono.
Premettiamo che i consumi idrici (m3/ha-1 anno-1) e le efficienze (in % dell’acqua effettivamente utilizzata dalla coltura rispetto a quella immessa nel campo) che si riscontrano per i diversi metodi sono i seguenti: sommersione con consumi 15÷65.000 (efficienze 10%); scorrimento con 3÷9000 (30-40%); infiltrazione da solchi con 3÷5.000 (55-75%); aspersione con 2÷3000 (70-80%): subirrigazione 2÷3000 (90%);- microportata 2÷3.000 (90%) (Mariani, 2013).
Nell’area confinante con il Piemonte (provincie di Pavia e Milano) e su una piccola superficie nel Mantovano si pratica la sommersione per la coltura del riso; in questo caso, modificando la gestione dell’acqua è possibile ridurne i consumi, ma vale la pena considerare attentamente i benefici economici visto che, in questo caso, un risparmio di acqua non significa un aumento della superficie irrigua, ma solo lasciare nei fiumi l’acqua non utilizzata. Caso diverso è quello dello scorrimento che si pratica nella zona centrale della Regione (Milano, Lodi, Cremona, Bergamo e Brescia e, in parte, a Pavia) vantaggioso perché poco costoso, idoneo alla irrigazione dei prati (marcitoi, stabili, avvicendati polifiti e monofiti di trifoglio ladino) e che ha anche il vantaggio di rimpinguare le falde. Tuttavia è da tener presente che negli ultimi decenni si è modificato il sistema colturale riducendo fortemente i prati e incrementando il mais, si è poi aumentata enormemente  la superficie degli appezzamenti per favorire la meccanizzazione e ciò ha avuto come conseguenza un aumento consistente del volume di adacquamento e del numero di adacquate. Negli anni ’70 del secolo scorso per la coltura del mais, utilizzando questo metodo irriguo si impiegavano non più di 2-2.500 m3/ha-1 anno-1 di acqua oggi, spesso, se ne impiegano 7-8000. L’efficienza del metodo è sempre stata bassa (30-40%), ma mentre un tempo ne andavano in falda circa 1000 m3/ha-1 anno-1 oggi ne vanno da 4000 a 5000 m3/ha e, cosa più grave, quest’acqua si trascina gli elementi solubili presenti nel terreno come i nitrati, causa oggi di un inquinamento molto temuto. Per rispondere a tale sfida ecologica il metodo più razionale è a nostro avviso quello di mantenere costantemente l’acqua irrigua nei fossi, in modo da rimpinguare le falde e poter al contempo attingerla dagli stessi fossi per l’irrigazione, effettuandola  con metodi a microportata (a goccia) che come si è detto hanno un’alta efficienza. Una tale soluzione, oltremodo razionale, comporterebbe però la completa revisione della gestione delle acque da parte dei Consorzi di bonifica (superamento dei turni a favore della fornitura in continuo), il che implica investimenti significativi che oggi nessuno parrebbe in grado di poter fare. Un metodo alternativo per affrontare il problema sarebbe quello di usare grandi macchine irrigue (Ranger, Pivot). A sfavore di tale ipotesi sta il fatto che le nostre campagne sono invase da ostacoli (elettrodotti, ecc.) che in molti casi impediscono l’uso di tali macchine. Il superamento del problema comporterebbe anche in tal caso investimenti (ad es. per l’interramento degli elettrodotti) che nessuno è oggi in grado di garantire.
L’area Mantovana e Vogherese viene oggi prevalentemente irrigata per aspersione con macchine semoventi irrigatrici (Rotoloni) che, dati gli elevati costi di gestione, si cerca oggi di sostituire con metodi a microportata con ali gocciolanti poste in superficie (e quindi da rinnovare annualmente) o interrate a circa 40 cm di profondità (ed in tal caso la durata è di circa dieci anni).
L’irrigazione a goccia con funzioni anche fertilizzanti si è diffusa da diversi anni nelle aziende florovivaistiche e più recentemente  in quelle orticole da mercato fresco e da industria, spesso insieme alla pacciamatura.
Attualmente in Lombardia operano 9 consorzi di bonifica che gestiscono ben 17.000 km di canali di primo e secondo grado, di cui fanno parte la rete irrigua (12.300 km) e quella di bonifica (5.800 km). Quest’ultima in parte svolge le funzioni di emungimento dell’acqua in eccesso e in parte quella irrigua. Se ai canali di primo e secondo grado si aggiungono i fossi aziendali si al totale complessivo di 40.000 km canali. Si tratta di un patrimonio agricolo e ambientale enorme che alimenta direttamente una grande biodiversità oltre che mantenere equilibri fra acque di superficie e sotterranee difficilmente conseguibili per altre vie e i cui costi manutentivi e di gestione non dovrebbero essere a carico del solo mondo agricolo.
In sintesi dunque se mettere in discussione il ricorso all’irrigazione porterebbe oggi ad una catastrofe alimentare di dimensioni globali, è buona cosa perorare l’adozione di tecniche irrigue più efficienti ed efficaci, anche se occorre considerare che l’adozione di tali tecniche richiede da un lato investimenti di capitale e dall’altro una significativa crescita culturale non solo degli operatori del settore agricolo ma anche di tutta la collettività.


[1] La differenza fra il livello europeo (30%) e quello italiano (64%) si deve al fatto che nell’Europa centro-settentrionale il clima è di tipo oceanico a buona piovosità estiva (Cfb di Koeppen), mentre in Italia dominano il clima mediterraneo (Csa di Koeppen) e quello di transizione mediterraneo – oceanico (Cfa).
Bibliografia
Araus et al., 2003. Productivity in prehistoric agriculture: physiological models for the quantification of cereal yields as an alternative to traditional approaches, Journal of Archaeological Science 30, 681–693
Mariani L., 2013. Agronomia, Cusl, Milano, 344 pp.
U.S. census Bureau, 2014. World Population Information (qui)

L’articolo è tratto dalla relazione svolta il 10 novembre 2014 nel convegno “Cibo – Ambiente - Energia: Le Grandi Crisi del Secolo-Il Contributo della Nuova Agricoltura”, organizzato dalla Accademia di Scienze, Lettere e Arti  di Modena.

Tommaso Maggiore  
E' stato Ordinario di Agronomia Generale presso la Facoltà di Agraria dell' Università degli studi di Milano, Direttore del corso di Agronomia, Presidente del Corso di laurea Magistrale di Scienze della Produzione e protezione delle piante e Direttore del dipartimento di Produzione Vegetale. E' autore di centinaia di pubblicazioni a carattere scientifico.
Luigi Mariani  
Docente  di Agrometeorologia all’Università degli Studi di Milano. E' stato Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia, costituita per promuovere questa  disciplina nei settori dell’insegnamento, della ricerca e dei servizi.


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