mercoledì 30 luglio 2014

Uomo e natura … ovvero saper riconoscere per conoscere

di Luigi Mariani






Secondo statistiche accreditate, oltre il 50% della popolazione mondiale vive ormai nelle città, una percentuale mai raggiunta in passato. Dal punto di vista antropologico l’inurbamento si traduce nella crescente difficoltà di un rapporto razionale con l’ambiente esterno alle metropoli, il che fa prender corpo a scenari artificiali fin qui prerogativa di libri di fantascienza. 
 

                                                                                
In tali condizioni le ferie costituiscono comunque per molti un’occasione di contatto con lo spazio rurale e forestale e dunque possono rivelarsi sia un’occasione per una riflessione serena sul nostro rapporto con la natura sia un’occasione di conoscenza.
Consentitemi dunque di iniziare questa riflessione con quelli che per molti saranno solo aridi elenchi e che ricostruisco così, a memoria, senza aprire testi che avrebbero come unico risultato di farmeli di molto allungare.
Vegetali della nostra flora spontanea con frutti eduli: rosa canina, uva selvatica, crespino, susino selvatico pero selvatico, nespolo (non quello con frutti gialli, il cosiddetto nespolo del Giappone, ma il vero nespolo, quello con frutti color marroncino, che maturano con il tempo e con paglia …) e poi azzeruolo, fico, sorbo, lampone, rovo, gelso, mirtillo, tasso, pino da pinoli, olivello spinoso, corbezzolo, nocciolo, noce, ciliegio selvatico.
Vegetali della nostra flora spontanea con fusti, foglie, rizomi o tuberi eduli: borraggine, tarassaco, lattuga, pungitopo, asparago selvatico, luppolo, portulaca, crescione, salicornia, finocchio selvatico, santoreggia, timo, aglio selvatico, carota selvatica, girasole da tuberi, ortica.
Potrei proseguire elencando i funghi mangerecci (che sono la maggioranza delle specie) ma mi fermo qui per non annoiare oltre misura e vengo alla domanda che scaturisce da questi elenchi: quanti di noi hanno avuto l’occasione di assaporare questi frutti della terra? E se non li si è mai assaporati come si pensa di poter capire il significato vero di quel che provava San Francesco quando scriveva “Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.”?
Lungi da me l’invitare qualche lettore sprovveduto a nutrirsi di frutti selvatici, in quanto il rischio se non li si conosce bene è quello di procurarsi un avvelenamento. Infatti l’elenco che segue riporta una serie di specie velenose proprie della nostra flora e che consiglio vivamente di saper riconoscere prima di avventurarsi in temerari assaggi: oleandro, belladonna, brionia, scilla marittima, cicuta, colchico, digitale, parecchie specie di funghi.
Personalmente tuttavia, avendo avuto la ventura di disporre di buoni maestri, mi sento in grado muovermi in qualunque ambiente di pianura o montagna trovando qualcosa da mangiare in qualunque stagione e questo mi ha portato da tempo a maturare l’idea che la natura a tutte le latitudini sia più che mai benigna nei confronti dell’uomo.
Tuttavia è a mio avviso ideologico e privo di fondamento razionale il considerare la natura comunque buona e magari l’uomo come distruttore, secondo luoghi comuni che appartengono ad un certo ecologismo di maniera e che oggi sono tanto diffusi da far considerare dai più il termine “naturale” come sinonimo di “buono, genuino, salubre”.
Per dimostrare la falsità di tali assunti basta considerare la seguente notizia datata fin che volete (è dell’estate 2011) ma ancor oggi densa di significato (leggi qui) : “Tragedia in Norvegia. Un orso polare ha azzannato e ucciso un 17enne britannico in vacanza nell'arcipelago delle Svalbard, nel mar Artico, ed ha ferito altri quattro suoi compagni di viaggio, due giovani e due adulti. Lo ha riferito il vice governatore di Svalbard, Lars Erik Alfheim, secondo cui, "in questi giorni in cui il ghiacchio si scioglie e non è improbabile imbattersi negli orsi polari, che sono estremamente pericolosi e possono attaccare senza alcun motivo".
I turisti attaccati facevano parte di un gruppo di 80 persone tra i 16 ed i 23 anni in vacanza con la "British Schools Exploring Society" nei pressi di un ghiacciaio sull'arcipelago norvegese. I quattro feriti, tra cui due leader del gruppo, sono stati trasferiti in elicottero a Tromsoe, nel nord della Norvegia.”
Una notizia tristissima (basti pensare al dolore dei genitori della vittima) e che ci richiama all’estrema prudenza con cui va affrontato l’ambiente naturale allorché sia presumibile la presenza di animali selvatici pericolosi come d esempio orsi, lupi o vipere. Ad un tale atteggiamento dovrebbe invitare l’educazione impartita a livello scolastico e la stessa informazione televisiva, che invece appare più che mai orientata a fornirci un’idea tranquillizzante o addirittura idilliaca degli animali più pericolosi (vi ricordate la reclame della Golia che aveva per protagonisti dei cuccioli di orso polare e la nota presentatrice televisiva di fede ecologista Licia Colò?).
La natura va dunque affrontata con prudenza sia per i rischi insiti nel mondo vegetale e animale sia per il pericolo costituito dagli elementi naturali, prima di tutto le avversità meteorologiche. Un esempio a quest’ultimo proposito ci viene dal povero Pastore protestante che durante il meeting sul riscaldamento globale tenutosi a Copenaghen nel novembre 2009 inforcò la sua bicicletta per coprire i molti chilometri che separano la sua cittadina dalla sede del meeting stesso utilizzando un mezzo a basso impatto ambientale e rimase vittima di una tormenta di neve che, in barba al global warming, imperversava nella zona.
Da questi esempi può prender corpo la chiave di lettura opposta (ed a mio avviso altrettanto parziale di quella “buonista”) secondo cui la natura è per “sua natura” avversa all’uomo. Molti spunti in proposito ci possono venire dalla lettura del Leopardiano “Dialogo della natura e di un islandese” (leggi qui).
Credo allora che oggi sia anzitutto da superare l’approccio superficiale alla natura ed ai suoi fenomeni, sempre più frequente fra gli abitanti delle città, per giungere ad un approccio culturale fondato sulla capacità di riconoscere e conoscere piante, animali, e altri elementi chiave del paesaggio naturale (rocce, minerali, nubi, ecc.).
Vale a questo punto la pena di ricordare che in questo articolo ho citato solo nomi comuni ma che la nomenclatura più utile a scopi conoscitivi e scientifici è quella binomia, espressa in lingua latina e definita nel XVIII secolo dal grande scienziato svedese Linneo (leggi qui). Tale nomenclatura è utilissima per scambiare informazioni fra persone di lingue diverse e permette di designare in modo univoco piante, animali o anche nubi. Ad esempio Populus alba sottospecie italica è il nostro pioppo cipressino, Ursus maritimus è l’orso bianco e Cumulonimbus capillatus è una delle nubi che generano i temporali.
Per inciso ricordo che il dare un nome alle cose (in gergo stabilire una tassonomia) è essenziale per sviluppare una scienza, in quanto tassonomia e scienza vanno a braccetto da tantissimo tempo, per lo meno fin da quando i nostro antenati cacciatori-raccoglitori dettero nomi a tutte le specie animali e vegetali con cui ebbero rapporti. Di questa conoscenza primigenia c’è traccia nello stesso racconto biblico. Infatti Noè, secondo il comando di Dio, poté condurre due animali di ogni specie sull’arca solo perché ne conosceva il nome.

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