venerdì 13 aprile 2018

MENZOGNE DEL BIOLOGICO. UN' ANALISI AGRONOMICA - TERZA PARTE

  di ALBERTO  GUIDORZI e LUIGI MARIANI





L’innovazione tecnologica ha permesso di incrementare la produzione su superfici stazionarie, salvaguardando così foreste e praterie, che sarebbero invece messe a repentaglio proprio dalla scelta BIO, che riducendo al 50% la produttività spingerebbe al raddoppio delle superfici degli arativi.







Menzogna n.6: Il bio è naturale, l’agricoltura convenzionale no

Quanto si abusa del vocabolo “natura e dell’aggettivo “naturale”! L’agricoltura è naturale in quanto l’uomo è parte della natura ed in tal senso l’agricoltura è “natura migliorata dall’uomo” e non “natura senza la presenza dell’uomo”. Più nello specifico occorre guardare all’agricoltura come alla simbiosi mutualistica fra uomo da un lato e piante colture coltivate e animali domestici dall’altro. Tale simbiosi si manifesta nel fatto che piante ed animali sono protetti dall’uomo che ne garantisce la sopravvivenza e la diffusione.
Potrà infatti sembrare strano agli animalisti ma se non vi fossero gli allevatori le razze di bestiame selezionate per millenni dall’uomo scomparirebbero in men che non si dica così come stanno scomparendo le razze equine da tiro e quelle canine da caccia. Analogamente potrà essere percepito come innaturale il fatto che nei campi coltivati sia idealmente presente una sola specie (frumento, mais, riso, patata, fagiolo, ecc.) mentre le altre sono combattute come “infestanti”, il che porta a una rilevantissima perdita di biodiversità che tuttavia viene compensata dal fatto che la biodiversità può conservarsi nei territori non coltivati, territori che possono conservarsi proprio grazie dall’elevata produttività che si raggiunge nei campi coltivati.
In tal senso giova riflettere sul fatto che da circa 50 anni l’estensione globale degli arativi destinati alle grandi commodities (mais, frumento, riso, soia, sorgo, ecc.) che nutrono il mondo è ferma a 1,5 miliardi di ettari e ciò proprio grazie all’innovazione tecnologica che ha permesso di incrementare la produzione su superfici stazionarie, salvaguardando così foreste e praterie, che sarebbero invece messe a repentaglio proprio dalla scelta BIO, che riducendo al 50% la produttività spingerebbe al raddoppio delle superfici degli arativi (Burney et al., 2010).
Peraltro la “naturalità agricola” (che in termini tecnici è poi quell’ecosistema antropizzato noto come agro-ecosistema) accompagna la nostra specie fin dalla rivoluzione neolitica, avvenuta a partire da circa 10000 anni orsono e che ci ha portato a quel “salto di qualità” da cui sono discese specializzazione del lavoro, città, religione, cultura, istituzione, ecc., in una parola tutto quel che noi oggi chiamiamo “civiltà”. Stupisce pertanto che si debba esser qui a spiegare cose tanto elementari e che dovrebbero far parte della nostra cultura più profonda. Inoltre la rivoluzione neolitica (Mariani, 2017) ha coinvolto tutti i continenti tranne l’Australia e l’Antartide e quindi gran parte delle popolazioni della Terra hanno modificato la natura che le circondava, addomesticando piante ed animali e modificando l’uso del suolo. La devozione alla “natura”, trasformata in religione, oltre che deprecabile sul piano etico, porta a scelte irrazionali di cui si riportano alcuni esempi.
Nell’ambito dei fungicidi è meglio usare il mancozeb invece del solfato di rame? BIO si esprime senza alcun dubbio a favore del solfato di rame (esemplare in tal senso è il linguaggio minaccioso di questo articolo di Repubblica “Può uccidere ma tutti lo usano Mancozeb, un veleno legale” il che è irragionevole stante la tossicità acuta nettamente inferiore del mancozeb. Al riguardo si veda la tabella qui sotto da cui emerge una verità scomoda.
 

Mancozeb
Rame
Effetti sulla

salute umana

DL50*
>5000 mg/kg
50 mg/kg
Classe EPA
Non tossico
Gorrosivo e tossico
Effetti sulla salute
Non tossico per via orale
Danni ai reni e al fegato
Ecotossicità

Lombrichi
Bassa
Elevata
Uccelli
Bassa
Moderata
Piccoli mammiferi
Non tossico
Pericoloso
DT50** nel terreno
6-15 giorni
Non degradabile
Tabella – confronto fra gli effetti del Mancozeb e del rame su uomo e ambiente.
(*) DL50= dose letale per il 50% degli individui a essa esposti.
(**) DT50= indicatore di persistenza nel suolo (più e basso e meno il prodotto persiste).
  • che senso hanno in termini di compatibilità ambientale le migliaia di ettari persi, laddove persiste tra l’altro la fame, per coltivare (peraltro usando sistemi propri dell’agricoltura convenzionale) i crisantemi necessari per ricavare piretrine, e ciò solo per onorare la scelta ideologica di rifiutare il piretroidi, che sono gli analoghi di sintesi delle molecole naturali;
  • che senso ha il tabù ecologista che spinge a bandire le biotecnologie che oggi sarebbero in grado di incrementare in modo sensibile la compatibilità ambientale dell’agricoltura riducendo sensibilmente il ricorso alla chimica per la difesa delle colture?
  • a parole Bio non rifiuta l’agricoltura conservativa e tuttavia nei fatti ne è un fiero avversario nel senso che rifiuta i diserbanti (Glyphosate e altri) che consentono di eseguire le classiche pratiche dell’agricoltura conservativa e cioè le semine su sodo e il minimum tillage.

Menzogna n. 7: Si può nutrire il mondo ritornando alle tecnologie agricole in uso prima della rivoluzione verde

 
Molti seguaci del biologico affermano che si potrebbe comunque alimentare l’intera popolazione mondiale rinunciando alle varietà moderne, ai fitofarmaci moderni e ai concimi di sintesi.
L’affermazione è basata su una equazione di cui non si è mai verificata la soluzione: si dice che se anche l’agricoltura biologica applicata al 100% dell’agricoltura facesse diminuire del 40% la produzione (e grazie a Dio lo ammettono!) sarebbe sufficiente eliminare gli sprechi per colmare la differenza e riempire i granai con minori produzioni.
A ben vedere la soluzione è già stata verificata come impossibile nel vicino passato. Se guardiamo ad esempio al 1960, allora si produceva 1/3 di quanto si produce oggi e il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della soglia di sufficienza alimentare contro il 10% odierno. La drastica riduzione dei sottonutriti si deve al contenimento delle perdite dovute agli eventi atmosferici avversi e agli attacchi parassitari, contenimento ottenuto, guarda caso, grazie alla massiccia applicazione dei metodi dell’agricoltura convenzionale.
Passare al biologico significherebbe rinunciare alle proteine ottenute grazie ai concimi di sintesi (urea, ammoniaca, ecc.) ottenuti a partire dall’azoto atmosferico, i quali coprono oggi il 40% del fabbisogno di proteine dell’umanità (Smil, 2001). Tale inesauribile fonte d’azoto consente di accrescere le rese delle colture in due modi (Crew e Peoples, 2004):

  1. aumentando la disponibilità di proteine strutturali e di enzimi (si pensi ad esempio la Rubisco che come accettore dell’anidride carbonica essenziale per il processo di fotosintesi è la proteina più diffusa in natura) 
  2. permettendo all’agricoltore di operare piani di rotazione meno rigidi e di espandere l’uso di specie più produttive come il mais (si pensi ad esempio che un ettaro di silomais produce un numero di unità foraggere che è triplo rispetto a quello di un prato – 21000 contro 7000 - consentendo così di triplicare il numero di bovini o suini allevati per unità di superficie) (Omodeo, 2007).
Rinunciare all’azoto atmosferico significherebbe rinunciare a tali vantaggi, con una “cura da cavallo” i cui risultati sarebbero a nostro avviso disastrosi.
Per coprire il deficit di azoto si renderebbe quantomeno necessario raddoppiare la produzione delle proteaginose il che comporterebbe la necessità di dissodare enormi estensioni oggi a bosco o a prateria, il che non ci pare certo una soluzione ecologicamente sostenibile.
A ciò si assocerebbero soluzioni che possiamo definire “fasciste”, come quella di far diventare tutti vegani ovvero di abbandonare i tradizionali animali domestici (ovi-caprini, bovini, suini, avi-cunicoli) in favore degli insetti. Poi vi sono le soluzioni neo-malthusiane che propugnano la diminuzione demografica del pianeta. Domanda? Chi si arrogherà il diritto di decidere da chi o da che cosa si deve cominciare? Al riguardo preghiamo i lettori di notare che le soluzioni proposte passano invariabilmente attraverso misure draconiane che scardinano i principi delle economie di mercato in nome di un bene superiore come la salvezza del pianeta o una maggiore salubrità. Il problema è tuttavia che in passato ogni qualvolta lo Stato si è sostituito al mercato (si pensi ad esempio al calmiere di cui parla Manzoni al capitolo 12 dei Promessi Sposi o alle collettivizzazioni operate dai regimi comunisti in Russia, Cina e Cambogia) il risultato non è stato certo un incremento della felicità delle masse ma innumerevoli morti per fame, il che dovrebbe renderci più che mai prudenti prima di inoltrarci su tali strade adottando ricette che oggi in troppi propongono a cuor leggero.

Menzogna n.8: la difesa integrata contro i parassiti e le malattie esclude l’uso dei fitofarmaci
 
Innanzitutto il concetto di difesa integrata non è una elaborazione del mondo del biologico bensì della buona e ragionata agricoltura convenzionale, per il semplice fatto che i prodotti usati per i trattamenti costano e non sono elisir di lunga vita, prima di tutto per chi li manipola. Ciò spiega il fatto che da parte degli agricoltori vi è stata una spinta da un lato ad avere prodotti meno cari e meno pericolosi a parità di efficacia e dall’altro a poterli impiegare previa valutazione della presenza di inoculo parassitario sufficiente a giustificarne la distribuzione. 

Menzogna n. 9 L’uso dei fitofarmaci può essere superato grazie al biocontrollo dei parassiti 

Adalia bipunctata sia la larva che l'adulto si nutrono di afidi. E' stata introdotta in Italia come agente di controllo biologico.


Il biocontrollo dei parassiti è una non-conquista del biologico, nel senso le prime applicazioni in Italia risalgono agli inizi del 900. Ad esempio nel 1906 Antonio Berlese introdusse e acclimatò dell’imenottero calcidoideo Prospaltella berlesei per il biocontrollo della cocciniglia bianca del Gelso Diaspis pentagona mentre Giacomo del Guercio introdusse nel 1923 un altro calcidoideo, l’Aphelinus mali, per il biocontrollo dell’afide lanigero del melo (Eryosoma lanigerum).
Il biocontrollo non è comunque la panacea per tutti i mali, trattandosi di un’arma a doppio taglio e dunque da utilizzare con prudenza. Ad esempio quando si tentò di introdurre i nematodi entomopatogeni ci si accorse poi che questi invadevano anche i nidi del Bombus terrestris (impollinatore selvatico di molte specie fra cui il trifoglio violetto) ed anche le api erano a rischio. Altro esempio è quello della coccinella Adalia bipunctata che introdotta in Italia per combattere biologicamente gli afidi ha avuto una tale inaspettata proliferazione che l’insetto, svernando da adulto, ha invaso le nostre case, suscitando le ire di chi probabilmente è pronto a firmare per abolire i fitofarmaci. Ricordiamo inoltre che nel caso di predatori monofagi, le popolazioni sono strettamente legate alla presenza della preda (legge di Lotka Volterra), per cui con la scomparsa la preda anche i predatori scompaiono e dunque debbono essere reintrodotti nell’ambiente al ricomparire del parassita. Tale fenomeno spesso limita la generalizzazione del biocontrollo che viene dunque limitato alle colture protette (coltivazioni in serra).

Menzogna n. 10: la dipendenza eccessiva dagli erbicidi genera l’esplosione di super infestanti.

Se c’è una cosa scientificamente fasulla è proprio questa. Non è il mezzo di difesa che genera questo stato di cose, ma il cattivo uso del mezzo di difesa, in quanto è insito nella natura che quando una specie è sottoposta alla pressione selettiva di un prodotto diserbante seleziona, ma solo se questi esistono, individui dotati di meccanismi di resistenza ad un principio attivo diserbante. Pertanto l’uso prolungato dello stesso diserbante o il sottodosaggio del diserbante stesso (uso di dosi inferiori a quelle prescritte) favorisce la selezione e la proliferazione di individui che hanno un qualche meccanismo di difesa. Si noti che tale fenomeno capitava anche quando si facevano le rotazioni o le si faceva male e si usava la zappa, nel senso che le specie perennanti difficilmente venivano sradicate e anzi se ne moltiplicavano gli organi di moltiplicazione vegetativa (rizomi, stoloni, tuberi, ecc.).                     Contro quest’ultimo fenomeno, che si ripete puntualmente anche nell’agricoltura biologica, la soluzione sta nell’associare rotazioni lunghe delle colture con obbligata rotazione di diversi principi attivi diserbanti senza abolire la zappatura meccanica. Al limite anche nella monosuccessione (che spesso può rivelarsi non consigliabile per altri motivi, come l’accumulo di parassiti, patogeni, semi e organi di moltiplicazione agamica delle malerbe) se si ruotano i principi attivi diserbanti non si favoriscono le super-infestanti, e un esempio lo abbiamo proprio con il “famigerato” glyphosate che è ancora largamente usato dopo 40 anni dall’introduzione mentre se fosse all’origine di super-infestanti sarebbe stato da tempo abbandonato. Insomma è vero proprio il contrario, cioè più agricoltura biologica equivale a più problemi di infestanti.

Menzogna n. 11: Gli effetti di deriva dei fitofarmaci sono un problema enorme 
 
Ma se sono per primi gli agricoltori a subire i danni dalle derive nei loro campi adiacenti! Quindi sanno bene che devono trattare in assenza di vento non solo per i danni da deriva ma anche perché non tratterebbero dove intendono farlo.
Di solito i media presentano a supporto della loro tesi l’esempio dei trattamenti da aereo o elicottero. Peccato che la gente non sappia che per scegliere questo sistema di protezione occorre disporre di migliaia e migliaia di ettari delle stessa coltivazione, altrimenti non è prefigurabile poterlo fare. A riprova basti sapere che i trattamenti aerei non sono più ammessi nell’Unione Europea e ciò in quanto la condizione suddetta manca.
Qualora poi si abolisse il glyphosate per timore degli effetti di deriva, ecco che in queste situazioni si opterebbe per il Dicamba, le cui derive potrebbero essere ancora maggiori per la volatilità molto più elevata del prodotto. Quando i lobbisti del bio non possono attaccare con sufficienti speranze di successo un dato principio attivo allora si rivolgono ai coformulanti. Seguendo tale strategia in Francia si è giunti ad proibire l’uso del coformulante del glyphosate “tallowamine” proveniente dal sego di pecora o di manzo e dunque prodotto naturale e quindi consentito per l'uso non solo in fitofarmaci approvati per l'agricoltura biologica ma anche in shampoo, cosmetici e dentifrici



Bibliografia

Burney J.A., Davis S.J., Lobell D.B. 2010. Greenhouse gas mitigation by agricultural intensification, Proceedings of the National Academy of Sciences, 107, 12052-12057.
Mariani L., 2017. Viaggi avventurosi di piante coltivate, Mattioli 1885, 95 pp.
Omodeo P., 2007. Produttività e costi dei foraggi più competitivi, Informatora agrario, n. 6/2007.
Crews T.E., Peoples M.B., 2004. Legume versus fertilizer sources of nitrogen: ecological tradeoffs and human needs, Agriculture, Ecosystems and Environment 102 (2004) 279–297
Smil, V., 2001. Enriching the Earth. MIT Press, Cambridge, MA.
 



Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.






Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.







Nessun commento:

Posta un commento